FORSE NON TUTTI SANNO CHE...
- A Siracusa, nel I secolo d.c. è sorta la prima comunità cristiana d'Europa. La prima chiesa cristiana fu realizzata su un tempio greco (sono visibilissime ancora le colonne). E all'interno della cattedrale si può leggere: "Ecclesia Syracusana, prima divi Petri filia et prima post Antiochenam Christo dicata".
- Chi ha detto che gli spaghetti li ha portati Marco Polo di ritorno dal suo viaggio in Cina nel 1295??? Il geogafo arabo Idrisi nel 1154 nel libro che ha scritto per conto di re Ruggero II, descrive Trabia (comune della provincia di Palermo)“come una pianura di vasti poderi né quali si fabbrica tanta pasta da esportarne in tutte le parti nella Calabria e in altri paesi musulmani e cristiani…”
- Dante e Petrarca in alcune loro opere testimoniano la nascita in Sicilia della letteratura italiana, perchè nella corte palermitana di Federico II di Svevia echeggiarono i versi delle prime poesie italiane con poeti come Jacopo da Lentini (che fu, tra l'altro, l'inventore del sonetto).
- Il primo trattato di gastronomia che si conosca è del siciliano Archéstrato da Gela e risale al IV sec. a.C.
- In Sicilia si ebbe il primo Parlamento, nel 1129, con Ruggero II. L'Inghilterra lo ebbe solo nel 1264. Si ebbe il primo Stato "burocratico", vale a dire basato su funzionari e non su una organizzazione feudale (vassalli, valvassori e valvassini). Si ebbe il primo stato "laico", indipendente dalla chiesa di Roma e soprattutto si continuò, come nel periodo arabo, ad applicare uno spirito di tolleranza religiosa e civile che nel resto d'Europa sarà riconosciuta solo nel 1598 (cioè ben quattro secoli dopo) con l'editto di Nantes di Enrico IV di Francia
- la Sicilia è la patria del grandissimo genio matematico Archimede da Siracusa...non quello di Topolino
- Le cassate siciliane confezionate nel monastero di Valverde, a Palermo, erano considerate le più delicate della Sicilia. la passione che le suore mettevano nella realizzazione di questo dolce, era tale, che nel 1575, il sinodo diocesano di Mazara del Vallo, ne proibì la realizzazione perchè distoglieva le monache dagli impegni spirituali.
- Nel dialetto siciliano non esiste nè il futuro semplice, nè il fututo anteriore.
- Puoi avere la pelle di tutti colori, marrone, nera, rossa...per i siciliani vieni denominato automaticamente "turcu" , Turco.
giovedì 24 marzo 2011
Falaride il tiranno
Tempo fa abbiamo parlato di Dinisio, il famigerato tiranno siracusano. Oggi parliamo invece di Falaride, tiranno di Akragas, l’attuale Agrigento.
Falaride dal 570 a.C, per circa trent’anni, fece diventare Akragas una grande potenza economica e militare.
Ma tanto era bravo, tanto era cattivo. La sua perfidia era conosciutissima ovunque.
Secondo una leggenda, Falaride fece creare dall'ateniese Perillo, un gigantesco toro di bronzo vuoto al suo interno, per utilizzarlo come strumento di tortura.
Dentro il toro faceva mettere i suoi nemici e li bloccava dentro. Faceva accendere del fuoco sotto la pancia del toro per fare in modo che le fiamme scaldassero il metallo fino a farlo scottare.
Quando il bronzo raggiungeva temperature elevatissime, i poveri rinchiusi gridavano dal dolore e le urla, simili ad un muggito, si sentivano fuoriuscendo dalla bocca dell’animale.
Falaride per la creazione di questo toro non risparmiò nessun particolare. I fumi che venivano fuori dal toro profumavano addirittura d’incenso.
Per provare gli effetti sonori, con l’inganno fece entrare Perillo dentro il toro, fece accendere il fuoco ed il poveretto cominciò ad urlare. Soddisfatto del suono lo fece uscire ma non lo risparmiò. Si dice, infatti, che lo fece gettare da una rupe.
Ma anche in questa storia c’è un briciolo di giustizia.
A seguito di una congiura guidata da Telemaco (non il figlio di Ulisse ;-)), Felaride fu condannato a morire proprio dentro il famoso toro.
Ohhhh, quannu ci voli, ci voli!
lunedì 15 novembre 2010
La leggenda della messa interrotta
Per questo motivo tutti i siciliani si beccarono la scomunica da parte di Papa Martino IV.
Una leggenda che riguarda l’atrocità dei soldati francesi si racconta a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa.
Nel 1229, quando gli angioini saccheggiavano la città (Chiaramonte Gulfi fu realmente distrutta dagli angioini e ricostruita più a monte nel XIV secolo), nella chiesa dell’Annunziata un gruppo di persone pregava.
Proprio nel momento in cui il Calice era innalzato fecero irruzione in chiesa i francesi che interruppero la messa strappando il calice dalle mani del prete e uccisero tutte le persone che seguivano la funzione.
A mezzanotte in punto si sentì scoccare la campana della chiesa dell’Annunziata ed apparve il prete ucciso con il calice in mano seguito da tutti i fedeli.
I francesi, presi dal terrore e da una strana attrazione nei confronti del corteo iniziarono a seguire i fedeli uccisi fin dentro la chiesa.
La messa iniziò e nel momento della consacrazione, proprio quello in cui avvenne il massacro, un forte vento entrò in chiesa e le mura cominciarono a tremare. Dal basso si aprì una voragine dentro la quale vennero spinti gli angioini, la voragine si chiuse e i fedeli ci ballarono sopra.
lunedì 8 novembre 2010
Efesto e sua nuova vita in Sicilia
Si racconta che quando Efesto nacque era talmente brutto che la mamma, appena lo vide, urlò dallo spavento e lo buttò giù dall’Olimpo. Il bimbo continuò a rotolare per molti giorni per poi finire nell’oceano dove venne allevato amorevolmente da Eurinome e da Teti (la genialoide che immerse suo figlio Achille nelle acque per renderlo immortale e si dimenticò di bagnargli il tallone).
La caduta dall’Olimpo causò al piccino qualche problemuccio, infatti si dice che fosse deforme proprio a causa della caduta.
Pian pianino il piccolo Efestino crebbe ma dentro covava vendetta nei confronti della mamma disonoratissima che lo ridusse in quel modo.
Ormai grande, diventò bravissimo nel saper forgiare i metalli e utilizzava con maestria martello ed incudine. Preparò la sua officina all’interno di una caverna e ricambiò l'affetto e l'amore ricevuto da Teti e Eurinome, fabbricando per loro dei bellissimi gioielli.
Un bel giorno, ad un banchetto, Teti indossò dei gioielli forgiati da Efesto e tutte le signore le fecero i complimenti per la creazione. Tra queste c’era anche Hera, che, invidiosa del fatto che qualcuno avesse più attenzioni di lei, volle sapere chi avesse creato quelle meraviglie.
Saputa la verità Hera si pentì di aver abbandonato il figlio e decise di incontrare Efesto. Commissionò al figlio un trono d’oro. Convinta che Efesto non l’avesse riconosciuta non svelò la propria identità.
Vabbè che Efesto era storpio ma non scemo! La riconobbe e si volle vendicare.
Decise di preparare per la madre Hera un magnifico regalo: un grande trono e tutto tempesssstato di pietre preziose.
Hihihi…
Quando Hera, vi si sedette non poté più muoversi perché legata da fili invisibili.
Tutti gli dei, compreso Zeus, supplicarono Efesto di slegare la madre, ma lui lo avrebbe fatto solo se gli avessero permesso di vivere sull’Olimpo come tutti gli dei che si rispettino!
Hera a quel punto fu liberata.
Efesto iniziò la sua nuova vita nell’Olimpo ma non gli piacque granché! Dopo un po’ si scoccio’ e decise di trasferirsi in Sicilia e dedicarsi ai suoi lavori all’interno del vulcano Etna. Ovviamente da solo non poteva far tutto. Decise quindi, di ampliare l’azienda e creare nuovi posti di lavoro (una sorta di Berlusconi, ma con la differenza che Efesto li ha creati veramente). Impiegò con contratto metalmeccanico un bel po’ di ciclopi e creò la fucina più grande del mondo!
lunedì 1 novembre 2010
Eolo il dio dei venti
Tutti noi sappiamo chi è Eolo.
E’ il fratello di Mammolo, Pisolo, Dotto, Cucciolo, Gongolo, ed ovviamente manca il nome del settimo nano che nessuno riesce mai a ricordare…
Hihihi
Provo ad essere seria…
Secondo le nostre solite prove scientifiche, pare che la Sicilia si sia staccata dal continente a causa di violenti venti non domati, e proprio per questo motivo Zeus in persona diede ad Eolo il compito di controllare i Venti.
Eolo era bravissimo a dirigerli, come un perfetto vigile!
Li indirizzava e li liberava e poi, quando non dovevano soffiare più, li custodiva dentro le caverne di Lipari, una delle isole Eolie.
Quattro fratelli componevano la famiglia dei venti principali:
Borea era il vento del Nord ed il più violento. Per amore delle cavalle di Dardano si trasformò in cavallo e generò dodici puledri veloci come il vento.
Zefiro era il secondo fratello, il vento dell'Ovest, era molto dolce e leggero, annunciava la primavera.
Euro, vento dell'Est, alternava piogge a periodi asciutti e si diceva portasse il bel tempo.
Austro era l’ultimo fratello, il vento del Sud, molto caldo e portatore di piogge.
Eolo ebbe dodici figli, sei femmine e sei maschi che si unirono tra loro creando altri venti.
Quando Ulisse,come ho già parlato in un altro racconto, arrivò in Sicilia, approdò anche sulle Eolie.
Ovviamente Eolo, felice della visita, lo ospitò e alla fine gli regalò la sacca con dentro, ben serrati, i venti contrari per la navigazione.
Sulla nave di Ulisse per tutto il viaggio di ritorno soffiò quindi solo Zefiro, ma, mentre l’eroe dormiva, i suoi compagni pensando che la sacca donata da Eolo potesse contenere oro, l'aprirono e si liberarono dei venti che scatenarono una terribile tempesta.
martedì 29 giugno 2010
Come capire in Sicilia se una donna è fedele
Si dice: “fimmina c’annaca l’anca o è buttana o picca ci manca!” (donna che sculetta o è puttana o manca poco per esserlo. Scusate la volgarità ma il detto è proprio questo).
Quindi attenti uomini, se la vostra compagna sculetta è meglio lasciarla! :-)
Un altro metodo per capire se la donna è fimmina illibata… è quello di portarla a Comiso con in mano un bicchiere di vino…
Che vuol dire?
Vicino al castello di Comiso c’è una fonte chiamata fonte di Diana.
Si racconta che nelle acque della fonte di Diana se una persona impudica e non casta versava del vino, questo non si mescolava con l’acqua.
Ovviamente la credenza si diffuse ovunque soprattutto tra i mariti che portavano le mogli alla fonte e facevano versare il vino per accertare che fossero fedeli :-)
Chissà quanti divorzi!!!!! :-)
venerdì 11 giugno 2010
La decapitazione di San Giovanni Battista
Quella che voglio raccontare è la leggenda legata alla morte di San Giovanni Battista.
Secondo il vangelo, Erodiade, moglie di Erode Filippo e madre di Salomè, abbandonò il marito e andò a convivere con il cognato Erode Antipa.
San Giovanni Battista, non condividendo questa scelta, condannò pubblicamente la condotta di Erode Antipa.
Erodiale chiese a Erode Antipa di farlo decapitare, ma questi si rifiutò di farlo.
Un giorno Erode Antipa organizzò un banchetto. Erodiale invitò la figlia Salomè che si esibì in una danza che piacque molto a Erode, il quale giurò di darle in premio ciò che ella avesse voluto. Salomè, istigata dalla madre, chiese la testa di Giovanni Battista ed il re non poté rifiutarsi poiché la promessa era stata udita da tutti i commensali. Una guardia decapitò il Santo e portò a Salomè la testa su un vassoio. La ragazza consegnò il vassoio alla madre Erodiade, che ebbe così la sua vendetta.
A Termini Imerese si racconta, invece, un’altra storia...
Si dice che Salomè iniziò a corteggiare San Giovanni Battista, ma egli rifiutò le sue avance. Salomè, decise di vendicarsi e chiese al padre la sua decapitazione. E così fu!
La vendetta, però, non le portò pace, si racconta che mentre camminava le orme che lasciava erano piene di sangue ed ogni volta che provava a riposare le appariva un uomo decapitato.
Decise quindi di viaggiare ed arrivò a Imera, l’attuale Termini Imerese e fece sorgere una chiesa in onore del Santo Martire, ma neanche questo gesto le diede pace in quanto accanto alla chiesa costruita sgorgò una sorgente di sangue.
Presa dal tormento Salomè si gettò in un fiume e morì, scomparendo del tutto.
Si racconta che Salomè appaia il 23 di giugno di ogni anno, la vigilia della festa di San Giovanni Battista. Appena sorge il sole del 24 giugno si rigetta nel fiume per scontare la sua eterna pena.
mercoledì 26 maggio 2010
Il cortile delle sette fate
Queste meravigliose creature rapivano per delle ore qualche uomo o qualche donna e li portavano in luoghi straordinari, come gli oceani più profondi, o i cieli più lontani.
Danzavano, cantavano e facevano feste incantevoli.
Appena il sole sorgeva riportavano il fortunato mortale nel luogo in cui era stato prelevato, e poi sparivano nel nulla…
Giusepe Pitrè racconta:
"‘Ntra stu Curtigghiu di li setti Fati, ‘nta la vanidduzza chi spunta ‘nfacci lu Munasteriu di Santa Chiara, vonnu diri ca la notti cci vinìanu sette donni di fora, tutti una cchiu bedda di ‘n’àutra. Sti donni si purtavanu quarchi omu o puramenti quarchi fimmina chi cci parìa a iddi, e cci facianu vidiri cosi mai visti: balli, sònura, cummiti, cosi granni. E vonnu diri puru ca si li purtavanu supra mari, fora fora, e li facianu caminari supra l’acqua senza vagnàrisi. Ogni notti faciànu stu magisteriu, e poi la matina spiriànu e ,un si nni parrava cchiui. Di ddocu nni veni ca stu curtigghiu si chiama lu curtigghiu di li setti Fati."
Le belle signore
Io ne ho sentito parlare da piccola, quando mia madre raccontava ad una vicina di casa che trovava inspiegabilmente mio fratello fuori dalla culla, e la vicina le disse che erano le belle signore che giocavano con lui.
Secondo la credenza popolare siciliana lo spirito di queste donne esce di casa durante la notte.
Si racconta anche che di giorno le belle signore si trasformino preferibilmente in rospi e serpenti e che dunque possa accadere di incontrarle senza accorgersene. Di notte possono andare in giro con aspetto umano.
Si dice che siano un po’ capricciose e che giochino con i bambini anche se prediligono i piccoli appena nati. C’è il rischio che possano anche accanirsi contro di loro fino a farli morire :-(
Si dice anche, che facciano le treccioline ai bimbi e che queste trecce non si devono assolutamente tagliare.
Capita che portino doni oppure indicano nel sonno le truvatura (chi mi segue sa che sono dei tesori).
Vi ho raccontato del cortile delle sette fate.
Si crede che queste sette fate siano proprio le belle signore perché generalmente si muovono in gruppo di sette, escono in volo il giovedì o comunque nei giorni pari.
Le belle signore, appunto chiamate così perché sono molto belle, hanno un forte senso della giustizia, la virtù del silenzio e dell'ubbidienza alle decisioni prese insieme con le compagne di gruppo.
Si racconta che anticamente, chi voleva in casa una "bella signora" doveva prima della mezzanotte, ardere dell'incenso, foglie d'alloro e rosmarino così lo spirito, tentato da quel profumo, si avvicinava.
sabato 22 maggio 2010
La vecchia dell'aceto
Noi abbiamo storie molto più interessanti, degne di una bella serie televisiva…
Durante il periodo dei Vicerè, nel XVIII secolo, visse a Palermo una “magara” chiamata Giovanna Bonanno.
A lei ricorrevano le donne che volevano sbarazzarsi dei propri uomini.
Giovanna possedeva un veleno molto potente, e questa famosa pozione magica che utilizzava per far uccidere i poveri mariti la scoprì per caso nell'anno 1786, quando venne a sapere di una bambina che si era sentita male a causa dell’ingestione dell’aceto per i pidocchi.
La prima cliente che ebbe fu una sua vicina di casa che desiderava fare fuori il marito perché voleva passare tutto il resto della sua vita assieme all'amante.
Ancora alle prime armi Giovanna non sapeva bene quali erano le quantità che servivano per uccidere qualcuno. Diede quindi alla vicina di casa una boccettina con il liquido velenoso, il marito bevve questo intruglio, ma finì “semplicemente” all’ospedale.
La vicina di casa dovette acquistarne altre due dosi per vedere il marito morto.
Nessun medico riuscì a capire che la causa della morte, e fu così che Giovanna iniziò il suo lavoro di “magara”chiamando la sua mistura "arcano liquore aceto".
Proprio in quel periodo nel quartiere della Zisa iniziarono a verificarsi delle morti misteriose…da fornai ad alcuni nobili della zona, dai giardinieri a qualche molestatore…in pratica Giovanna fece fuori un bel po’ di uomini e ne andava fiera!
Quando aveva quasi ottant’anni, un’amica, una certa Maria Pitarra, le chiese una dose di “liquore aceto” senza dirle chi sarebbe stato lo sfortunato.
Giovanna venne a sapere che l’uomo che avrebbe dovuto bere quell’intruglio sarebbe stato il figlio di Giovanna Lombardo, un’altra amica carissima. La volle avvertire ma non ci riuscì.
Sembra una telenovela, e se continuate a leggere arriva il colpo di scena…
La Lombardo, aveva intanto scoperto che la nuora, attraverso la Pitarra, aveva commissionato la pozione velenosa per il figlio e tramò una bella vendetta nei confronti della nostra magara.
Finse di voler comprare una dose di "aceto", e al momento della consegna si presentò con quattro testimoni, cogliendo in flagrante la Bonanno.
Nell'ottobre del 1788 Giovanna Bonanno fu processata per stregoneria, dove furono chiamati a testimoniare qualche superstite e il droghiere dove Giovanna acquistava l’aceto per i pidocchi.
Il 30 luglio 1789 l'avvelenatrice pendeva dalla forca.
Che ne dite? Non è una degna storia da Beautiful?
mercoledì 12 maggio 2010
Il famoso Giufà
Giufà o Giucà per alcuni, nella tradizione popolare è uno dei personaggi più conosciuti e più divertenti.
E’ un ragazzino ingenuo, sciocco, un po’ sfortunato. Molte vicende sono vere, anche se possono sembrarci paradossali.
Ricordo che quando ero piccola e mi mettevo lo zaino sulle spalle per andare a scuola, ma anche adesso, quando prendo della roba pesante, mia madre mi dice sempre “Giufà si carricà” :-)
Ed io rido automaticamente!
La storia che segue me l’ha raccontata Caterina, un’amica della pagina “Sicilia” e nuova amica “feisbucchiana”
Un giorno la mamma di Giufà, uscendo disse:- Giufà io sto uscendo. Fra un po' metti due ceci in pentola, in modo che quando torno siano pronti per mangiare.
Giufà fece quello che la madre gli aveva chiesto di fare. Quando la madre tornò a casa vide che la pentola dell'acqua era sul fuoco che bolliva. Ma, alzando il coperchio, non vide nessun legume dentro l'acqua.
- Giufà, figlio sventurato, - disse - ma non ti avevo detto di mettere i ceci in pentola?
- Così ho fatto mamma
- Ma come? Non vedi che non c'è niente?
- Non ho colpa mamma. Anzi io ho fatto meglio di come mi avevi detto. Invece di due ceci in pentola ne ho messi tre. Poi per controllare la cottura, ne ho assaggiato uno, per vedere se era giusto di sale ne ho assaggiato un altro e per vedere se fosse ancora duro ho assaggiato l'ultimo. Per questo motivo non ne sono rimasti.
La mamma di Giufà, senza dire altro, prese un cucchiaio di legno e iniziò a dargliele di santa ragione :-)
lunedì 26 aprile 2010
Richieste al Signore
Questa è una storia molto carina che si racconta in Sicilia e che cerca di spiegare, ironicamente, come il Signore ha distribuito le virtù, i vizi, i beni e i mali agli uomini....e alle donne!!!!
Si racconta che un giorno davanti al Signore arrivò un prete.
“Signore mi daresti una grazia?” chiese il prete
“E che grazia vuoi?” Disse il Signore
“Voglio tutto!” rispose il prete.
“Ti sarà concesso” disse il Signore.
Il giorno dopo si presentò un monaco che che chiese tutto
“Il tutto l'ho già concesso al prete” disse il Signore
“Pazienza” disse il monaco
“E questo ti sarà concesso” rispose il Signore.
Venne un galantuomo che chiese tutto al Signore.
“Il tutto l'ho già concesso al prete” disse
“Pazienza” disse il galantuomo
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo” esclamò.
“E questo ti sarà concesso” rispose il Signore.
Venne un muratore e domandò il tutto al Signore.
“Il tutto l'ho già concesso al prete”
“Pazienza” disse il muratore
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo” esclamò il muratore
“Il diavolo l'ho già dato al galantuomo”.
“Oh, che imbroglio” (in realtà sarebbe oh chi'mbrogghiu, che in dialetto ha un significato più ampio)
“E questo ti sarà concesso” disse il Signore.
Venne un contadino e disse “Signore voglio tutto”.
“Il tutto l'ho già concesso al prete”
“Pazienza” disse il contadino
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo” esclamò il contadino
“Il diavolo l'ho già dato al galantuomo”.
“Oh, che imbroglio!!!!”
“No, l'imbroglio l'ho già dato al muratore”
“Allora quello che vuole Dio” disse il contadino.
“E questo ti sarà concesso”
Venne una donna e chiese tutto al Signore.
“Il tutto l'ho già concesso al prete”
“Pazienza” disse la donna
“No, la pazienza l'ho già data al monaco”
“Al diavolo”
“Il diavolo l'ho già dato al galantuomo”.
“Oh, che imbroglio!”
“No, l'imbroglio l'ho già dato al muratore”
“Allora quello che vuole Dio”
“Quello che vuole Dio l'ho già dato al contadino”
“Oh che c....!!!”
“E questo ti sarà concesso”
Per questo motivo i preti hanno tutto, i monaci la pazienza, i galantuomini il diavolo, i muratori gli imbrogli (nel senso che sono imbroglioni), i contadini fanno la volontà di Dio....e le donne....Quello!!! :-)
domenica 18 aprile 2010
Ruggero II e il duomo di Cefalù
Nell'agosto del 1129, Ruggero II partì da Salerno per ritornare in Sicilia.
La giornata era bellissima, il sole era splendente, neanche una nuvola macchiava di bianco il cielo azzurrissimo.
Sulla nave, sdraiato a prua, Ruggero, in costumino leopardato, prendeva il sole con un cocktail nella mano sinistra ed una rivista di gossip in quella destra.
Tutto l'equipaggio ballava contemporaneamente YMCA dei Village Peolple....
Ok, smetto di fantasticare, anche se l'immagine di Ruggero II in costumino leopardato e l'quipaggio che alza le braccia per ballare YMCA mi piaceva.
Ritorno in me e racconto la storia in maniera seria...hihihi....
Tutto procedeva secondo i piani...con il mare così calmo e una giornata così bella chi li poteva fermare?
Ad un tratto, però, una nebbiolina iniziò a scendere dal cielo. La nebbia pian piano si fece sempre più fitta fino a quando il cielo non diventò pieno di nuovoloni e si alzò una tempesta.
Il re e l'equipaggio erano terrorizzati, non avevano mai visto qualcosa di simile. L'acqua entrava da tutte le parti, l'interno della nave era quasi distrutto. Il re pregava chiedendo al Signore di salvarlo dalla burrasca. Pregò tanto.
La nave, anche se la tempesta non pemetteva alcun movimento, continuava ad andare avanti come se qualcuno la guidasse e la spingesse per poterla salvare. Come una scena da film, nel buio della notte apparve una luce, era il Signore che disse: "Non temere, io sarò con te".
Ruggero promise al Signore che nel posto in cui sarebbero approdati avrebbe fatto sorgere un tempio alla sua gloria.
A quel punto cadde in un sonno profondo.
La mattina si risvegliò sentendo le urla di esultazione dell'equipaggio. La nave aveva gettato le ancore a Cefalù.
L'anno successivo Ruggero fece ergere una cattedrale, come promesso al Signore (in realtà iniziarono nel 1131, due anni dopo, ma questo a noi non interessa, in quanto le leggende hanno sempre ragione).
Ma parliamo un pò di storia della Sicilia...
Ruggero II fu un grande re. Fece del regno di Sicilia uno degli Stati d'Europa più potenti e meglio ordinati. Nel 1129 creò il primo parlamento della storia. L'Inghilterra lo ebbe solo nel 1264.
Si ebbe il primo Stato "burocratico", vale a dire basato su funzionari e non su una organizzazione feudale (vassalli, valvassori e valvassini). Si ebbe il primo stato "laico", indipendente dalla chiesa di Roma e soprattutto si continuò, come nel periodo arabo, ad applicare uno spirito di tolleranza religiosa e civile che nel resto d'Europa sarà riconosciuta solo nel 1598 (cioè ben quattro secoli dopo) con l'editto di Nantes di Enrico IV di Francia (anche se già qualche decennio prima con Caterina de' Medici, con l'editto di Gennaio, si era permesso ai protestanti la libertà di culto)
mercoledì 14 aprile 2010
Sapete perché gli asini in Sicilia si chiamano scecchi?
Correva l’anno 827 d.C, gli arabi, avevano già conquistato la Spagna con l’Andalusia ed avendo ancora sete di conquiste si gettarono a capofitto nel Tirreno portando la loro guerra santa (gihàd) in Sicilia (e non solo).
Quando gli arabi iniziarono la conquista della Sicilia i bizantini non ne furono molto entusiasti ma alla fine dovettero cedere.
Inizialmente, avendo trucidato un bel po’ di persone, i siciliani erano molto diffidenti nei loro confronti, ma pian pianino gli arabi si dimostrarono come una popolazione di grande tolleranza religiosa e civile.
Ma iniziamo la nostra leggenda….
Non avendo molta fiducia nei musulmani, i siciliani si guardavano bene dall’osannare i nuovi conquistatori. L’ostilità era così tanta che il re arabo Miramolino doveva fare qualcosa per evitare scontri. Uno dei suoi più grandi consiglieri era la figlia Nevara la quale era convinta che con la forza non si sarebbe ottenuto nulla poiché si prendono più api con un ramoscello fiorito che con una grossa botte di aceto. (Che donna!)
In realtà la principessina dava questi consigli al padre perché era innamorata di un giovane nobile siciliano (ovviamente bello. Tranne Polifemo e i ciclopi poi sono tutti belli nelle nostre storie), quindi la signorina voleva portare la pace e la saggezza per un doppio scopo.
Miramolino, ascoltando il consiglio della figlia, permise agli isolani di continuare a lavorare la terra e di commerciare, ma, per fare capire loro che gli arabi erano sempre quelli che avevano il potere proibì di portare armi e non potevano essere più alti di loro. Per questo motivo non volle che la popolazione siciliana montasse a cavallo.
Vada per le armi, che volendo, si possono anche nascondere, ma a cavallo ci si deve andare…
“Né noi, né loro!”
Una bella notte, offesi per l’affronto, i siciliani avvelenarono gli abbeveratoi e in pochissimo tempo morirono tutti i cavalli dell’isola.
Miramolino chiese quindi di fare arrivare delle navi piene di cavalli dal nord africa ma il destino volle che durante una tempesta le navi affondarono tranne una piena di asini.
A quel punto gli arabi furono costretti a cavalcare gli asini e l’immagine era talmente ridicola che i siciliani iniziarono a prenderli in giro.
Gli sceicchi sui somarelli!
Da qual momento in poi in dialetto gli asini vennero chiamati scecchi.
Re Miramolino dopo la figuraccia permise nuovamente a siciliani di poter montare a cavallo e di poter suonare le loro campane. Da questo momento in poi iniziò la pacifica convivenza tra i due popoli.
martedì 13 aprile 2010
La leggenda dei fratelli Palici e del dio Adrano
Voi non lo sapete, ma i siciliani furono i primi geologi della storia dell'umanità :-)
Volete le prove? Eccole...
Riuscirono a dare una spiegazione scientifica al fatto che l'Etna eruttasse dicendo che la colpa fosse dei ciclopi, dei diavoli o di Re Artù (lo abbiamo visto nelle storie che ho scritto precedentemente). In questa leggenda, che sarebbe una delle più antiche della Sicilia, si darà invece una spiegazione scientifica sul ribollire delle acque del lago Naftia, vicino Palagonia, prima capitale della Sicilia fondata da Ducezio (Paliké).
Questo lago esiste ancora ma non è visibile in quanto i suoi gas, come ho letto su wikipedia, sono sfruttati industrialmente.
I fratelli Palici sono figli di Giove e della ninfa Talia. Giove si sa, è il più grande latin lover di tutti i tempi, fa più figli lui che la mia gatta che rimane incinta quando ancora allatta. O meglio, non è che li faccia lui, li fa fare a migliaia di donne all'insaputa della moglie Giunone che, giustamente, si arrabbia "tanticchia".
I fratelli Palici nacquero sottoterra perchè Talia, la loro madre, aveva paura che Giunone potesse ucciderli. La nascita dei fratellini provocò il ribollire delle acque del lago Naftia e gli abitanti del luogo dedicarono loro un tempio molto importante (dei resti del tempio è rimasto ben poco).
In questo luogo di culto si facevano grandi giuramenti e chi osava giurare e poi mentiva, veniva punito con la morte oppure con la cecità.
Ovviamente nessuno osava giurare il falso davanti al tempio.
Per questo motivo è nata un'espressione che mia nonna utilizzava spesso quando doveva giurare qualcosa: "orba di tutti i du occhi", oppure "privu di la vista di l'occhi", cioè che io sia accecato se dico il falso.
Un altro tempio famoso, vicino Paternò, è quello del dio Adrano.
I cani che facevano da guardia al tempio erano mille cirnechi dell'Etna.
Si racconta che i cirnechi erano dei cani intelligentissimi tanto che accolgievano festanti tutti i visitatori del tempio. Aiutavano le persone con problemi di deambulazione, accompagnavano a casa gli ubriachi, ma sbranavano coloro che andavano al tempio per rubare, i bugiardi o chi aveva cattive intenzioni.
Da qui, è nata l'espressione siciliana "chi ti pozzanu manciari li cani", come forma di imprecazione contro qualcuno che fa una cosa malvagia.
domenica 11 aprile 2010
Perché ad un uomo tradito si dice cornuto?
Quando in Sicilia vuoi offendere qualcuno puoi dire di tutto e di più, ma non devi mai utilizzare una determinata parola…suppongo sappiate a quale mi riferisco.
Nello stesso istante in cui un siciliano si sente dire cornuto o si vede davanti qualcuno che solleva la mano con indice e mignolo alzati, si assiste ad un evento da non perdere: la trasformazione di un uomo.
Avete presente l’incredibile Hulk? Stessa cosa!
Le vene iniziano a gonfiare, le narici si allargano, le labbra si distorcono, nel viso appare tutto lo splendore del tecnicolor e dalla bocca iniziano ad uscire parole indecifrabili che non risparmiano le prime, le seconde e le terze generazioni di chi l’ha offeso.
Ebbene si, la parola Cornuto per il siciliano è una grande offesa.
Il valore offensivo di questa parola è di origine medievale, prima di allora, soprattutto in età romana, il cornuto era colui che rappresentava forza e potenza. Spesso i nomi romani venivano accostati a questo aggettivo. Anticamente erano addirittura un ornamento prestigioso. Gli dei venivano raffigurati con le corna. Anche il Mosè di Michelangelo è rappresentato con le corna.
La variazione di significato e la divulgazione in tutta Europa e in tutto il mondo si è avuta grazie alle truppe siciliane che Guglielmo II (detto il buono) inviò a Costantinopoli contro l’imperatore bizantino Andronico I Comneno.
L’imperatore Andronico era una persona molto cattiva e perfida. Uccise l’imperatore Alessio II di cui era tutore, e, salito al potere pretendeva di fare tutto ciò che desiderava. Era un dongiovanni e possedeva le donne con violenza senza badare se fossero o meno sposate. Quando possedeva una donna sposata faceva incarcerare o picchiare il marito e faceva apporre all’ingresso dei loro palazzi teste di cervi o comunque animali con le corna. Questo per mostrare la propria potenza e il trionfo. Proprio per questo motivo nacque l’espressione “fare le corna”, quindi i mariti “traditi” venivano chiamati cornuti.
Ritornando ai siciliani, quando nel 1185 andarono a Costantinopoli e videro questi trofei appesi nei palazzi nobiliari, capirono il motivo dell’espressione cornuto e quando rimpatriarono divulgarono questa curiosità alquanto singolare.
Tempo fa sentivo dire che a Palermo ci si offende per delega. Spesso si sente dire: va dicci curnutu a tò pà. Forse in questo caso è meno pesante?
martedì 3 novembre 2009
E vui durmiti ancora
E vui durmiti ancora
Lu suli è già spuntatu di lu mari
E vui bidduzza mia durmiti ancora
L’aceddi sunnu stanchi di cantari
Affriddateddi aspettanu ccà fora
Supra ssu barcuneddu su pusati
E aspettanu quann’è ca v’affacciati
Lassati stari nun durmiti cchiui
Ca ‘nzemi a iddi dintra sta vanedda
Ci sugnu puru iu c’aspettu a vui
Ppi viriri ssa facci accussì bedda
Passu cca fora tutti li nuttati
E aspettu sulu quannu v’affacciati
Li ciuri senza i vui nun vonnu stari
Su tutti ccu li testi a pinnuluni
Ognunu d’iddi nun voli sbucciari
Se prima nun si rapi ssu barconi
Intra li buttuneddi su ammucchiati
E aspettanu quann’è ca v’affacciati
Lassati stari nun durmiti cchiui
Ca ‘nzemi a iddi dintra sta vanedda
Ci sugnu puru iu c’aspettu a vui
Ppi viriri ssa facci accussì bedda
Passu cca fora tutti li nuttati
E aspettu sulu quannu v’affacciati
Traduzione in italiano:
E voi dormite ancora
Già dal mare s’è levato il sole
E voi dormite ancora, piccola e bella
Gli uccelli sono stanchi di cantare
Infreddoliti, aspettano qui fuori
Su quel balconcino si son posati
E aspettano che voi vi affacciate
Basta, non dormite più
Perché insieme a loro, in questa straduccia
Ci sono anch’io ad aspettare voi
Per vedere questo viso così bello
Passo qui fuori tutte le mie notti
E aspetto solo che voi vi affacciate
I fiori non vogliono stare senza di voi
Tengono tutti il loro capo chino
Non ce n’è uno che voglia sbocciare
Se prima non si apre quel balcone
Sono nascosti fra i boccioli
E aspettano che voi vi affacciate
Basta, non dormite più
Perché insieme a loro, in questa straduccia
Ci sono anch’io ad aspettare voi
Per vedere questo viso così bello
Passo qui fuori tutte le mie notti
E aspetto solo che voi vi affacciate.
venerdì 5 giugno 2009
Attenti a dove mettete le pomelie se avete figlie femmine da sposare!
venerdì 22 maggio 2009
La leggenda di Eliodoro e l’elefante di Catania
Eliodoro visse intorno al 725 d.C quando Catania era una provincia bizantina dell'Impero Romano d'Oriente. Eliodoro aspirava a diventare il vescovo di Catania ma non riusciva ad affermarsi. Un giorno però conobbe uno stregone ebreo, che gli insegnò arti magiche e lo convertì al giudaismo.
Si racconta che una notte Eliodoro si recò presso il sepolcro degli eroi ed iniziò ad evocare il diavolo, grazie a un misterioso scritto che gli era stato consegnato dallo stregone ebreo. Satana infine apparve e gli chiese cosa volesse. Eliodoro gli comunicò le sue ambizioni ed il demonio rispose: “Se rinneghi la fede in Cristo, ti pongo a fianco uno della mia corte, Gaspare, che sarà tuo servo, e ti conferirò poteri magici.” Fu così che Eliodoro accettò ed ottenne poteri sovrannaturali.
Fu lui stesso a costruirsi magicamente l'elefante, con la lava dell'Etna. A cavallo della magica creatura girava per la città, facendo scherzi e dispetti alla popolazione. L’elefante veniva utilizzato, inoltre per i suoi lunghi viaggi da Catania a Costantinopoli.
Eliodoro era veramente perfido.
Eliodoro venne per tale ragione condotto in carcere, ma riuscì a riguadagnare la libertà corrompendo le guardie con l'offerta di tre libbre d'oro. Anche questa volta utilizzò una grossa pietra all'apparenza d'oro, che in seguito riacquistò la sua forma naturale.
Fu Condannato a morte da Costantino ma nel momento in cui stava per eseguirsi la sentenza, egli domandò in grazia una catinella d'acqua: vi tuffò la testa e sparì misteriosamente, dicendo: " Chi mi vuole, mi cerchi in Catania ! ".
Nuovamente ricondotto dinanzi al boia per aver dato fuoco al “di dietro” della moglie di Eraclio, un ministro di Costantino, Eliodoro, mentre stava per ricevere il colpo di grazia, si rimpicciolì, entrò per la manica destra del carnefice e ne uscì dall'altra, gridando: " Scampai la prima volta; questa è la seconda. Se mi volete, cercatemi a Catania! ". E disparve ancora, facendosi trasportare dagli spiriti nella inquieta città.
Fu il vescovo Leone detto il Taumaturgo che, celebrando una messa propiziatoria riuscì a ridurre il mago Eliodoro in un mucchio di cenere.
Il suo elefante rimase vivo ed è ora simbolo della città di Catania.
A parte le leggende, si ritiene che originariamente la statua dell’elefante sia stato oggetto di culto in un tempio di riti orientali della Città. Stranamente è poi precipitato dal suo altare ai primordi del Cristianesimo e venne portato fuori le mura, dove rimase per più secoli. In seguito dopo essere stato dimenticato per diverso tempo, venne ricondotto in città dai padri Benedettini del monastero di S. Agata e posto ad adornare un antico arco.
Nel 1508, però, essendo stato completato il vecchio Palazzo di Città, l’arco venne abbattuto e l'elefante fu posto sul prospetto della parte nuova dell'edificio, con la seguente iscrizione: Ferdinandus. Hispaniae utriusque. Siciliae. Rege - Elephans erectus fuit a Cesare Jojenio - Justitiario - MDVII
Dopo il terremoto del 1693, l'elefante fu nuovamente abbandonato, finchè, nel 1727, l'olandese Filippo d'Orville, trovandosi di passaggio da Catania, sollecitò che esso venisse innalzato insieme all'obelisco egizio che adesso lo sormonta nella famosa Piazza Duomo.
sabato 16 maggio 2009
I Ciclopi
Il nome Ciclopi deriva dal greco kuklops = dall'occhio rotondo, proprio perché un solo un occhio di forma rotonda, si apre nel bel mezzo della fronte.
Sono i creatori del fulmine di Zeus: Cronos, uno dei titani, anch'essi figli di Urano e Gea, detronizzò Urano e fece precipitare i Ciclopi nel mondo sotterraneo. Quando il figlio di Cronos, Zeus, in lotta col padre, li liberò, per ringraziarlo gli donarono il tuono e il lampo con cui sconfisse Cronos e i Titani, diventando così, a sua volta, signore dell'universo.
I Ciclopi sono anche i fabbri degli dei, il direttore dei cantieri è Efesto, dio del fuoco, ai quali forniscono le armi.
I Ciclopi abitano la Sicilia e le Eolie nelle caverne sotterranee.
Ovviamente, per creare le armi, utilizzano incudine e martello ed i colpi delle loro incudini e il loro ansimare muove la terra e crea strani rumori, ed il fuoco della loro fucina esce fuori dalla
Di natura completamente diversa dai Ciclopi Uranidi sono i Ciclopi Omerici. A differenza dei figli di Urano, vivono dediti alla pastorizia e isolati l'uno dall'altro nelle caverne dell'Etna. Il rappresentante più famoso è Polifemo, figlio di Poseidone. Di lui ne abbiamo parlato qualche mese fa, nella leggenda di Aci e Galatea. Il "grande" Polifemo ha vinto il premio Oscar come miglior attore non protagonista per il film "Odissea". Il film è composto da un cast d'eccezione: il celeberrimo Ulisse, la bellissima Penelope, il giovanissimo Telemaco ed i Proci (con la P). La Regia è di Omero, già vincitore dell'Oscar per il colossal "Iliade", un film che racconta di una guerra e che è riuscito ad ottenere la statuetta come migliore sceneggiatura, migliore colonna sonora e miglior film straniero ;-)
Al solito mi perdo....
Ma se in Sicilia discendiamo dai Ciclopi, perchè sono alta poco più di un metro e sessanta???
sabato 9 maggio 2009
Una leggenda che fa riflettere
E' la storia del signor Turiddu Passaddà.
Nel dialetto siciliano "passaddà" vuol dire, letteralmente, "passa di là, vai via". Normalmente si utilizza quando si vuole allontanare qualcuno.
Il signor Passaddà era un uomo molto povero e faceva il mulattiere di professione.
Una sera vide ai piedi della montagna del Marabito (nel palermitano) una gran luce e dei fuochi d'artificio. Avvicinandosi udì dei suoni e vide danzare, cantare ed una serie di bancarelle che vendevano un mare di roba bellissima.
Sbalordito e spaventato da questa novità iniziò a darsela a gambe fino a quando non fu fermato da un folletto travestito da mercante che gli offrì dei buoi per un soldo. Ma il povero Passaddà era poverissimo e triste e sconsolato si allontanò fino a quando non lo fermò un altro folletto travestito da mercante che gli offrì dei cavalli per dieci soldi, e un altro mercante gli offrì una dozzina di agnelli per un soldo. Ma dovette rifiutare perchè non aveva neanche quello!
Un quarto folletto prese Passaddà e lo mise a testa in giù fino a quando non cadde una monetina che il folletto cambiò per un vitello.
Il vitello fu in seguito venduto da Turiddu per un mucchio d'oro e pian piano il povero squattrinato divenne ricco...ricco sfondato.
Non camminava più a piedi ma in carrozza, faceva opere di bene ma a patto che lo scrivessero sui giornali, faceva sfarzi come un gran signore.
Ed ecco il momento che deve far riflettere....
Tutta la gente che fino a quel momento lo aveva ignorato, chissà per quale strano motivo, iniziò a considerarlo, a salutarlo, a elogiarlo.
Addirittura, il Podestà che una volta lo aveva fatto sbattere fuori dall'uscere del Municipio, perchè il povero Passaddà non gli aveva dato del "voscenza", voleva dargli in sposa la sua bella figlia.
Pensate che era stata creata un'apposita Commissione per ricercare tra le carte degli antenati, le origini nobili di Passaddà. Ne venne fuori, attraverso strane ricerche, che l'ex disprezzato, poveretto e affamato Passaddà, aveva sangue "purissimo celeste", quindi non si chiamò più Turiddu Passaddà, ma Don Salvatore Passadiqua, dei principi dell'oro...
lunedì 17 novembre 2008
Novembre: pasticcerie caleidoscopio di colori!
In questo modo è nata la frutta martorana con coloratissimi mandarini, arance, melograni, limoni, zucche, carciofi e chi più ne ha più ne metta...
venerdì 19 settembre 2008
Fantasmi artisti?
sabato 6 settembre 2008
Aci e Galatea
Oggi si parla di amori impossibili (e quando mai), quando un brutto, anzi bruttissimo s’innamora di una ragazza bellissima e questo sentimento non è ricambiato.
Storie di tutti i giorni, con l’unica differenza che il protagonista di questa storia è talmente brutto che neanche una plastica facciale riuscirebbe a migliorarlo.
Certo, lei oltre ad essere bella, a mio avviso è un po’ cretinetta, ma questa è la sorte che tocca a NOI bellissime, qualche difetto dobbiamo pur averlo :-D :-) :-D !!!!!!
A parte gli scherzi, se dobbiamo proprio essere sinceri e spettegolare un pò, lei, quella della storia che segue, non solo se l’è tirata un po’ troppo e se l’è cercata, ma era proprio un’ochetta.
Alla fine chi ci ha perso le penne è stato quello non c’entrava niente, l’unica persona che doveva stare fuori dalla storia…
Visto, la pagano sempre quelli che non hanno colpe...
Sembra una soap opera e quasi lo è.
La ragazza di cui stiamo sparlottando si chiamava Galatea. Era una ninfa molto bella, elegante e leggiadra. Su di lei puntò il suo unico occhio Polifemo, che un giorno, uscendo fuori da uno dei crateri dell’Etna vide la fanciulla su una spiaggia assieme a delle amiche, e, vista la bellezza, se ne innamorò.
Polifemo era brutto e rozzo e puzzava un pò. Era un gigante e incuteva paura con il suo occhio rotondo e fiammeggiante. Ma il cuore gli s’intenerì e volle iniziare a corteggiare Galatea.
Ma la giovane era già innamorata, tanto che ogni giorno lasciava le amiche e le sorelle in spiaggia e andava a trovare il suo amato vicino la scogliera. Il giovane pastore si chiamava Aci, figlio del dio Pan, protettore dei monti e dei boschi.
Polifemo comunicò il suo amore a Galatea ma questa, non solo ne fu inorridita ma addirittura lo denigrò.
Lo prese in giro, si burlò di lui ma Polifemo con estrema pazienza attendeva che la ninfa lo degnasse di uno sguardo.
Il gigante era talmente innamorato che addirittura cercò di diventare bello. Infisse alcuni pioli in un grosso tronco di pino e ne fece un pettine per i capelli e la barba ,utilizzò delle scarpe fatte con due barche che aveva distrutto per l’occasione e uccise un gran numero di lupi, di volpi e di montoni per cucirsi una veste. Smise addirittura di mangiare uomini e iniziò a suonare la zampogna per fare delle serenate alla sua bella. Ma Galatea non accettava le avance e continuava a dirgli che era brutto, mentre il suo amato Aci era bellissimo.
La ninfa era un po’ capricciosa e non si rendeva conto che con il suo modo di agire, burlandosi del ciclope, non faceva altro che farlo innervosire.
Un giorno Galatea andò a trovare Aci e, mentre erano abbracciati stretti in un bosco, li vide Polifemo.Il Ciclope accecato dalla gelosia (Polifemo accecato ah ah ah) sradicò dal suolo un’enorme roccia e la lanciò addosso ad Aci, schiacciandolo.Il corpo del povero pastorello era, lì, sotto la roccia senza più vita.Galatea alla vista del suo amore gli si gettò addosso piangendo tutte le lacrime che aveva in corpo. Il pianto senza fine destò la compassione degli Dei che vollero attenuare il suo tormento trasformando Aci in un bellissimo fiume che scende dall'Etna e sfocia nel tratto di spiaggia, dove solevano incontrarsi i due amanti.
Molti paesini attorno a Catania prendono il loro nome dal povero pastorello Aci: Acitrezza, Acicastello, Acireale ecc.
Nell’immagine di presentazione del Blog è raffigurata Galatea che invoca gli Dei per poterla aiutare ed Aci morto, colpito da una roccia lanciata da Polifemo.
A piè pagina invece una parte della storia di Aci e Galatea.
A me questa storia piace...
Buon week end
domenica 31 agosto 2008
Il ratto di Proserpina
In basso una rara immagine mentre il dio rapisce la bellissima fanciulla...
In realtà in Sicilia non sono mai esistite. Non solo nel dialetto siciliano, quello antico, non esiste la parola autunno, ma realmente noi abbiamo due stagioni: quella bella e quella brutta.
A tutto questo c’è una spiegazione assolutamente scientifica…come a tutte le altre storie che fino ad ora ho raccontato.
Adorava la figlia e le stava sempre accanto. Ma giusto quando si allontanò…
Hades (Plutone) era il fratello di Zeus, nonché zio di Persefone. Aveva deciso, con il benestare del fratello, di rapire la dolce fanciulla (a quel tempo non si ponevano problemi di incesti e parentele varie). Un tipo un po’ schivo, bruttino, puzzava di chiuso ed era sempre sporco. Tutti avevano paura di lui. Diciamo che all’interno della famiglia è stato quello più sfigato perché i due fratelli, Zeus e Poseidone hanno avuto i regni più interessanti e divertenti, a lui sono toccati gli inferi…e non è che l'ade sia proprio un bel posticino da vivere!
Ma iniziamo la storia…
Un bel giorno Proserpina si trovò attorno al lago di Pergusa, vicino Enna, assieme alle sue amiche, di cui una ragazza di nome Ciane. Si divertiva e passeggiava raccogliendo frutti e fiori. Ad un tratto, da una caverna a lato del lago, con una carrozza trainata da quattro cavalli neri, uscì fuori Hades, maestoso, scuro con gli occhi di fuoco.
Il dio degli inferi si precipitò verso Persefone, che, vedendolo così grande e nero e con le mani protese ad artigliarla, fu colta dal terrore e fuggì assieme alle compagne.
Plutone in due falcate le fu addosso, la prese e la mise sul cocchio, ostacolato inutilmente da Ciane, che tentò di fermare i cavalli. Il dio, adirato dal gesto della giovane ninfa, la percosse col suo scettro trasformandola in una doppia sorgente dalle acque color turchino (cyanos in Greco vuol dire appunto turchino). Il giovane Anapo, innamorato di Ciane preso dallo sgomento si fece mutare nel fiume che ancor oggi si unisce alle acque della sorgente Ciane, a Siracusa.
Hades portò quindi Persefone via con se nel regno degli inferi.
Demetra iniziò a cercare la figlia, ma nessuno, pur avendo visto e saputo del gesto di Plutone, aiutò la dea nella ricerca.
Cerere provò a chiedere Zeus dove si trovasse Proserpina ma il grande dio non le rispondeva (è vero che era sua figlia, ma era anche vero che non poteva tradire il fratello) e durante la sua ricerca, una notte la dea si ritrovò a calpestare delle piante di luppini (sono delle legumose dal sapore amarognolo. …sono quelli dei malavoglia, ricordate?). Le piante calpestate facevano rumore, un rumore che sembrava volesse offendere la dea. A quel punto Cerere disse loro: “possiate provare voi l’amarezza che provo io in questo momento”. Detto questo le piante, che fino a quel momento erano dolciastre, divennero amare.
Dopo nove giorni e nove notti di vagare invano, Cerere si trovò davanti al Sole il quale le raccontò che per volere di Zeus, Persefone era stata rapita da Hades e che ormai era stata portata nel regno delle tenebre.
Allora Cerere, folle di dolore ed arrabbiata con Zeus perché aveva permesso il rapimento della figlia senza il suo benestare, decise di provocare una grande siccità in tutta la Sicilia.
Dopo la siccità venne la carestia e sia uomini che animali morirono in grande quantità. Non valevano invocazioni e scongiuri alla dea, Cerere rivoleva la figlia e fino a quando non la ritrovava non avrebbe smesso.
A quel punto Zeus, mandò Hermes (Mercurio) negli inferi per chiedere a Plutone di restituire Proserpina a Cerere.
Plutone accettò ma ormai la giovane aveva assaporato il melograno, simbolo di fedeltà coniugale quindi sarebbe salita dalla madre ma subito dopo sarebbe dovuta scendere dal marito.
Cerere non accettò questo ricatto e chiese a Zeus di trattare con Plutone.
Si trovò un accordo: per due terzi dell’anno Persefone sarebbe rimasta con la madre, per un terzo dell’anno con il marito nelle tenebre.
Ecco perché in Sicilia otto mesi l’anno (da marzo a ottobre) fa bel tempo, perché Proserpina è con Cerere la quale ricopre la terra di fiori e frutta. E per quattro mesi (da novembre a febbraio) fa brutto tempo, perché Proserpina è con Plutone nel regno degli inferi.
Non è una leggenda molto bella? E una delle mie preferite, se non la favorita.
E’ inutile, lo ha detto anche il guru Paolo Fox, sono un pesci romantico :-) e queste storie mi coinvolgono. Non che vorrei essere rapita, per carità, anche perché non converrebbe a chi osasse farlo, però mi piacciono le storie di amori impossibili, di amori struggenti…ahhhh…
A proposito di rapimenti, ma che fine avrà fatto Farouk Kassam?
domenica 24 agosto 2008
Da Archimede alla fonte Aretusa
Finito di raccontare cavolate passo alla parte seria e “reale” della storia… :-)
Secondo il principio di Archimede un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del liquido spostato.
Un giorno la povera Afrodite, scoraggiata da questo comportamento, andò dal figlio alato Eros (o Cupido per i latini) rimproverandolo perché trascurava il regno della madre. Afrodite raccontò che un giovane cacciatore stimato e temuto, figlio di Dei, disprezzava le sacerdotesse dell’amore, non le degnava di uno sguardo permettendo che soffrissero mentre lui godeva.
Eros, colpito dalle lacrime della madre fu pronto ad aiutarla e mentre le stelle della notte brillavano nel cielo (mi piace questa frase, poco originale ma d’effetto), Eros entrò nel luogo dove dormiva Alfeo, gli andò nel sonno e lo incoraggiò a fare la mattina seguente una battuta di caccia a Siracusa, esattamente ad Ortigia (un isolotto posto accanto alla città) dove vi era selvaggina in abbondanza e lo aspettava una grande sorpresa…
Alfeo si svegliò e partì per la Sicilia dove effettivamente vi era una grande varietà di animali e tra i tanti vide una quaglia dalle penne d’oro e dalle zampette d’oro. Stupito ed attratto da quell’animale, Alfeo fece partire una freccia verso la quaglia e l’uccello si trasformò in una creatura stupenda, nuda e seducente di nome Aretusa, ninfa di Artemide (o Diana, Dea della caccia), una delle dilette più caste che esistevano in circolazione. Aretusa allora incitò Alfeo a scappare perchè l’ira della Dea l’avrebbe colpito.
Innamorandosi del cacciatore stava sfidando l’ira di Artemide. Non sapendo se scegliere il cuore o la ragione iniziò a correre velocemente ed il giovane la seguì fino a quando, nel momento in cui stava per abbracciarla, Aretusa invocò la dea della caccia e venne trasformata in fonte di acqua cristallina.
Alfeo, preso dallo sgomento, chiese al padre se potesse trasformarlo in fiume, e così avvenne…
venerdì 22 agosto 2008
Dedalo combinaguai
E di roba da raccontare ne esiste abbastanza.
Dopo la mia sanissima cena, fatta di crostini al bacon, mezzo pacco di zigulì al limone e un bicchiere di succo ace, posso raccogliere il mio fegato da terra e cominciare la mia storiella.
Questa sera si parla di Dedalo, il famoso Dedalo, quello che ha avuto il figlio così stupido da avvicinarsi al sole con le ali di cera...il furbacchione. Dedalo, quello con le ginocchia a punta :-D ...quello del labirinto, quello del re Minosse.
Ma che c'entra questo qui con la Sicilia dato che viveva bello spaparanzato e sereno in Grecia?
Andiamoci per gradi.
Dedalo era un bravissimo architetto e scultore, così ingegnoso e così bravo nella sua arte che si diceva le sue sculture sembrassero vive.
Ma il signore qui descritto non era uno stinco di santo, anzi, di guai ne combinò pure parecchi.
Innanzi tutto fu un omicida:
ebbe come discepolo Talo, figlio della sorella. Si dice che Talo era tanto bravo come inventore da aver messo in ombra lo zio, e Dedalo, pieno di gelosia, fu "costretto" ad ucciderlo.
Accusato di omicidio (ma và!) esiliò a Creta dove ebbe l'onore di conoscere il re Minosse.
Qui passiamo alla storia a luci rosse, quindi chi ha meno di 18 anni non continui a leggere il racconto...
...Minosse ogni anno sacrificava un toro a Poseidone ma uno di questi anni (giusto quando Dedalo si trovò lì), nacque un toro così bello che il re non volle sacrificarlo al dio e ne scelse un altro.
Poseidone, offeso, volle vendicarsi facendo in modo che Pasife, la moglie di Minosse si innamorasse del bellissimo toro.
Pasife desiderava ardentemente accoppiarsi con il toro, ma, come diciamo nuatri, c'era qualche problemino tecnico che impediva la copulazione...solo qualcuno, di piccola importanza...
Ma qui entra a far parte della storia Dedalo, al quale venne un'idea geniale, cioè quella di costruire una statua a forma di mucca, vuota dentro e rivestita di pelle bovina . Insegnò a Pasife come posizionarsi all'interno per permettere l'accoppiamento (immagino la scena :-D) e dopo qualche scomodità iniziale l'unione avvenne.
Fino a qui nessun problema, se nonchè la signora Pasife rimase incinta e partorì un essere bruttissimo, il Minotauro, metà toro e metà uomo.
Chissà Minosse quanto fu grato a Dedalo per la bellissima idea che ebbe!
Ma i danni che combinò Dedalo non finiscono qui...
Minosse fece costruire al suo fidato Dedalo il famosissimo labirinto, dove vi mise dentro il Minotauro e ogni tanto gli veniva sacrificato qualche essere umano.
Tra le varie persone che ebbero la "fortuna" di entrare nel labirinto a far visita al mostro, ci fu Teseo, fidanzato di Arianna (la figlia di Minosse e la stessa persona che poi verrà abbandonata in un isola dal pezzo di maleducato del suo fidanzato). Arianna, sotto uno dei preziosi consigli di Dedalo, fece uscire fuori Teseo dal labirinto.
Fatta anche questa bravata, Minosse si arrabbiò veramente con Dedalo.
Vada per le corna fatte da un toro, ma quando è troppo è troppo!
Ed ecco che nella storia appare la Sicilia...
Dedalo e suo figlio scapparono da Creta con delle ali di cera, fu qui che il figlio scimunito ebbe l'idea di avvicinarsi al sole e morì.
Il padre invece volava basso e di tanto in tanto bagnava le ali e riuscì a planare in Sicilia.
Anche qui si accaparrò le simpatie di un regnante, Cocalo, un re sicano.
Ma intanto Minosse non dimenticava l'affronto e venne a sapere che Dedalo si trovava in Sicilia.
A quel punto decise di approdare nell'isola sbarcando in una località vicino Agrigento, che in suo onore venne chiamata Eraclea Minoa.
Minosse, sapendo che Dedalo era molto furbo e che soltanto lui avrebbe potuto risolvere gli indovinelli più strani e risolvere i quesiti più difficili, ovunque passava prometteva denaro a colui che avrebbe fatto passare un filo attraverso le spirali di una chiocciola immaginando che lì a poco avrebbe ricevuto la soluzione al quesito.
Ovviamente il signor "io so fare tutto" riuscì a fare passare il filo legandolo ad una formica che poi fece entrare nella conchiglia e la fece uscire da un buchino posto dietro.
Cocalo fece avere la soluzione a Minosse, non specificando che l'idea era di Dedalo, ma Minosse immediatamente chiese al re sicano di consegnargli il fuggitivo.
Cocalo, che ormai si era affezionato a Dedalo e non voleva perderlo, decise di far venire comunque Minosse a corte, lo invitò a fare un bagno caldo nelle sue bellissime vasche ammaliato e massaggiato dalle figlie. Ma le signorine non furono proprio ospitali, anzi, annegarono l'ospite. I sicani consegnarono il corpo senza vita ai cretesi dicendo loro che il re era morto scivolando accidentalmente :-)
Non so che altri danni combinò Dedalo, so solo che oltre a vivere in Sicilia visse per qualche tempo in Puglia e in Sardegna, dove costruì i nuraghi.
Spero che almeno lì si comportò bene.
Come si diceva in un film di Benigni (Jonny Stecchino), in Sicilia non rubare mai le banane, ma un altro consiglio che do è quello di non andare mai in bagno di qualcuno che ti ospita, non si sa mai!!!
:-))))))))
Buona notte.